Teatro – Francesco Brandi, uomo di palco fra personaggi al margine e oceani in cui nuotare

Oggi farò una bella chiacchierata con Francesco Brandi. Giovane e talentuoso autore e attore teatrale e cinematografico dall’animo sensibile e dalle grandi doti artistiche.

Francesco buongiorno. Dunque tu sei un volto noto al cinema, in teatro ed in TV ed hai all’attivo tantissimi personaggi che hai portato in scena e sul set. A che età ti sei avvicinato all’arte della recitazione?

“Ho cominciato al liceo, intorno ai 15 anni. Ero un ragazzino molto insicuro, non timido, ma un po’ sfigato, e certamente non attraente. Sono salito sul palco per una forma di ribellione a me stesso: avevo bisogno di innamorarmi e di essere ricambiato. Il palco mi ha aiutato da subito, modificando la percezione degli altri e quindi piano piano, negli anni, anche l’opinione mia su me stesso, che non è fondamentale, ma nemmeno così inutile.”

Dicevo in apertura che, pur essendo giovane, hai nella tua filmografia tante esperienze cinematografiche in cui sei stato diretto da nomi di grandissimo rilievo, da Ettore Scola a Nanni Moretti, da Leonardo Pieraccioni a Paolo Virzì, Pupi Avati e Carlo Mazzacurati, solo per citarne alcuni. Qual è quella che ti ha segnato nel profondo e che ha dato la vera svolta alla tua vita artistica?

“Tutti i nomi che mi hai fatto sono enormi, e rileggerli avvicinati al mio percorso mi fa tremare i polsi. Tutti mi hanno dato molto e ho molto pudore, ancora oggi, nello spiegare, anche a me stesso, cosa ognuno di loro mi ha dato. A livello professionale Pupi Avati, al cinema, e Andree Ruth Shammah in teatro, sono stati, senza dubbio, le due persone che più hanno creduto in me e che mi hanno dato le possibilità migliori.”

Mi aggancio a quest’ultima regista che hai citato per continuare a parlare del teatro. Oltre ad essere un apprezzatissimo attore sei anche autore di alcuni tuoi spettacoli. C’è una tua “creatura” drammaturgica a cui tieni particolarmente e di cui ci vuoi parlare?

“Sono affezionato a tutte le cose che ho scritto, ma sicuramente “Per Strada” è il testo che forse sento più mio. Un po’ perché è stato il primo, e un po’ perché l’ambiente in cui abbiamo tutti(regista, attori, tecnici) dato vita a quel testo è stato memorabile. C’era un clima di gioia, creazione, ispirazione, veramente irripetibile. Sicuramente uno dei momenti più belli della mia vita. E quello che è successo dopo a “Per Strada” ne è la dimostrazione.”

La vita di un artista viene vista dal di fuori come un privilegio incredibile, fatto di luci sfavillanti e successo, ma sappiamo bene che nella realtà è fatta anche e soprattutto di sacrifici, fatica, studio e disciplina. Qual è, secondo la tua esperienza personale, il risvolto più entusiasmante del tuo lavoro e quello che ti esalta meno?

“Del mio lavoro mi piace e mi angoscia quasi tutto, è strano ma è così: non potrei farne a meno, ma quando lo faccio non nascondo momenti di altissimo nervosismo. Ho un carattere non esattamente accomodante, che spesso si lascia assediare dalla tensione. E questo forse è l’aspetto che mi piace meno, non essere riuscito ancora a maturare, sono ancora infantile rispetto alle tensioni che questo lavoro, inevitabilmente, mi da. L’aspetto che mi piace di più è la convivialità: stare in mezzo alla gente, conoscerla, parlarci, andare a cena, assembrarmi con gli esseri umani in posti meravigliosi.”

Passiamo a curiosare dietro le quinte, cosa non manca mai nel tuo camerino e nella tua valigia quando parti per le tournée?

“Nel mio camerino non mancano mai due cose fondamentali per la mia sopravvivenza: il Ventolin e la foto di mia figlia. Nella mia valigia, invece, c’è sempre posto per libri e playstation. In tournee mi fanno molta compagnia.”

Sei un creativo, quindi ti faccio una domanda che dà molto spazio all’immaginazione.
Con quale grande artista attuale o del passato vorresti collaborare? E anzi, cosa gli o le proporresti di fare insieme?

“Roberto Benigni. Mi piacerebbe rifare il suo Cioni Mario, diretto da lui, per me equivarrebbe a un Oscar, anzi di più.”

C’è un personaggio che hai interpretato che ti è rimasto “impigliato” dentro e perchè?

“Sicuramente Taddeo, “Un matrimonio” di Avati. Mi piace interpretare personaggi sconfitti, soli, ai margini, mi piace ridargli un po’ di rispetto e dignità.”

C’è un regista ed anche un collega attore/attrice a cui devi più di tutti?

“Oltre alla già citata Andree Ruth Shammah, devo molto, se non tutto, a Raphael Tobia Vogel, Francesco Sferrazza Papa, Loris Fabiani e Sara Putignano, sono le persone che più hanno creduto nei miei testi. Vedi, io non sono un drammaturgo, sono un attore che scrive, ed è una differenza sostanziale. Quando porto il testo agli attori ho molto bisogno di loro e per fargli capire quanto, uso sempre questa metafora: il testo che arriva alle prove è un pesce morente, che si dimena per sopravvivere, ha bisogno dell’acqua. Gli attori sono l’acqua. E qui subentra la fortuna o la sfortuna: puoi incontrare quello che te lo fa morire, quello che gli da l’acquario, e quello che ti da l’oceano, facendoti scoprire mondi che mai avresti pensato. I nomi che ti ho fatto sopra sono stati l’oceano migliore in cui potessi sprofondare.”

Anche tu, come la maggior parte dei teatranti, sei superstizioso? Hai un rito particolare a cui non rinunci mai prima di andare in scena o sul set?

“Sono più superstizioso quando guardo il mio Napoli, che devo vedere rigorosamente da solo. Quando faccio teatro, non lo sono tanto, ti dirò. Prima di andare mi concentro e scarico la tensione così: musica a tutto volume in cuffia e una corsa sul palco e in platea.”

L’applauso più importante finora dove e quando lo hai ricevuto?

“Forse a Firenze, alla Pergola, durante il Malato immaginario. Un applauso a scena aperta che mi ha strappato il cuore.”

Se la tua vita fosse un film quale sarebbe?

“Le vie del signore sono finite di Massimo Troisi.”

E se fossi il famoso personaggio di uno spettacolo o di un film, a chi somiglieresti?

“Giulio Basletti di Romanzo Popolare di Monicelli, interpretato dal leggendario Ugo Tognazzi, un mio idolo assoluto.”

Invece la musica è un’arte in cui ti sei mai cimentato? E che ruolo ha nella tua vita?

“Pur essendo totalmente negato a cantare e suonare, amo la musica, che è parte fondamentale di tutta la mia vita.”

Hai una canzone del cuore che non ti stancheresti mai di ascoltare?

“Janey Don’t You Lose Heart, di Bruce Springsteen.”

Quindi sotto sotto pulsa un cuore Rock. Francesco, hai un desiderio artistico e uno personale che non hai ancora realizzato?

“Ne ho tanti. Vorrei riuscire a fare un film tutto mio, prima o poi, tratto da un mio testo, con tutte le persone meravigliose e gli artisti incredibili che ho incontrato fino a qui.”

Come riprenderà la tua attività una volta che riapriranno anche i teatri al pubblico? Raccontaci che progetti ci sono nel tuo futuro.

“In questo periodo molti “scienziati” del teatro si sono affannati a dire che nulla sarà come prima. Leggevo nei loro commenti una sorta di soddisfazione, quasi di goduria, come se non vedessero l’ora. Spero di sbagliarmi. Io, comunque, che non sono teorico, ma un uomo di palco, spero che tutto, presto, torni non solo come prima, ma più di prima. Sto scrivendo due o tre testi che vorrei mettere in scena, ma che non parlano di questo periodo, che non vedo l’ora che finisca e che non vedo l’ora di dimenticare. Voglio tornare ad abbracciare tutti, soprattutto il pubblico. Internet non mi piace, punto. “Ci vediamo a teatro” è la frase più bella da dire e da ricevere. Non vedo l’ora di poterla pronunciare e ascoltare.”

E allora, caro Francesco, possiamo congedarci in un unico modo, che spero sia di buon auspicio per noi tutti e cioè dandoci l’appuntamento per noi più prezioso… “Ci vediamo a teatro!”

Roma, 31 maggio 2020
Valentina Proietto Scipioni
Palcoscenici del Mondo

Pubblicato da Palcoscenici del mondo

Blog di arte, musica e spettacolo

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